Il dipinto deve essere messo in relazione con Il Sacrificio di Alessandro Magno, altra tela dipinta da Giovanni Battista Costa e presente nella medesima collezione del Palazzo Borromeo all’Isola Madre sul Lago Maggiore. Le similitudini stilistiche sono evidenti e anche quelle iconografiche non sono meno celate: i vestiti striati, gli elmi piumati e i rossi mantelli dialogano tra loro da incredibilmente vicino.
Il soggetto ritratto è desunto da un passo del Ab urbe condita libri di Tito Livio e racconta del momento in cui Tarquinio il Superbo comunicò al figlio Sesto Tarquinio, per mezzo di un emissario, che era giunto il momento di recidere gli alti papaveri della città di Gabii. Il gesto fu, come è noto, una metafora per dare il via all’epurazione delle più alte cariche Gabine al fine di far cadere la città nelle mani dei Romani.
I fiori ai piedi del re parrebbero dipinti da altra mano rispetto al resto della tela. La pennellata vibrante e la competenza botanica farebbero pensare alla pittrice Margherita Caffi o a qualche pittore di nature morte a lei molto prossimo.